C’è un tempo che non passa e c’è una voce che lo attraversa. È la voce di Ruggine, protagonista del mio nuovo romanzo. Dopo La Promessa ho sentito il bisogno di tornare a raccontare ciò che mi sta più a cuore: gli ultimi, i luoghi dimenticati, le vite che resistono in silenzio. Ruggine è un uomo ferito ma non vinto, figlio del Sud, cresciuto ai margini, tra fabbriche abbandonate, parole spezzate e sogni accartocciati. Porta nel nome una condanna, ma anche una verità: la vita corrode, lascia segni, ma sotto la crosta resta acciaio. Ha una lingua ruvida, fatta di dialetto, di strada e di poesia involontaria. Non si fa grande con le parole ma con lo sguardo, quello di chi sa ancora vedere il mondo per com’è. Nel suo cammino incontra una madre vestita di dolore, una sorella in fuga, un ex sindacalista consumato dalla rabbia, un cane randagio fedele più degli uomini e una donna che, forse, può insegnargli a salvarsi. In questo romanzo ho intrecciato il mio mestiere di avvocato con la mia vocazione più profonda: scrivere per chi non ha voce, per chi resta, per chi, pur arrugginito, è ancora vivo.